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Interviste allo specchio del Giornale di Brescia I Gabriele Smussi

  • GIORNALE DI BRESCIA

Di Anna Della Moretta

Questa intervista è parte del progetto «Interviste allo specchio», condiviso con L’Eco di Bergamo e nato in occasione del 2023, l’anno che vede i due capoluoghi uniti come Capitale della Cultura 2023. Ogni domenica i due quotidiani propongono l’intervista a due personaggi autorevoli del mondo culturale (nell’accezione più ampia), uno bresciano e uno bergamasco, realizzate da giornalisti delle due testate. Di seguito trovate l’intervista al personaggio bresciano. Per scoprire il contenuto dell’intervista all’omologo bergamasco invece, vi rinviamo a L'Eco di Bergamo (in calce all’intervista trovate il link diretto alla pagina dedicata del quotidiano orobico).

La cultura come cura è uno dei temi portanti di Bergamo Brescia Capitale italiana della Cultura 2023. Partiamo da questo tema per esplorare un terreno fertile per le due città, quello della cooperazione e del volontariato internazionali. E lo facciamo pensando a quanto il bagaglio di conoscenze di ciascuno possa tradursi in strumento di cura per molte persone. Lo può essere qui, in casa, ma anche in luoghi lontani, in quei Paesi a risorse limitate che, negli anni, sono stati meta di centinaia di cooperanti e di volontari bresciani. Lo facciamo con uno di loro, Gabriele Smussi che, dopo un’esperienza di volontariato in Africa, ha speso una vita a diffondere i temi della pace, della nonviolenza e del disarmo.

Gabriele, qual è stato il punto di partenza?

Appena diplomato venni assunto alla Breda, grossa azienda bresciana, a patto che non partissi subito per il servizio militare. Non lo feci e mi iscrissi all’Università a Verona, dove poi mi laureai in Economia e, poco dopo, venne approvata una legge a firma del bresciano Mario Pedini sul servizio civile alternativo a quello militare. Non persi tempi e partii per il Rwanda con lo Svi, il Servizio volontario internazionale. Laggiù lavorai nell’economato generale di Kigali con i Padri Bianchi. Fu la svolta della mia vita perché quando rientrai dopo due anni avevo ancora, come prevedeva la legge, il mio posto di lavoro. Ma ci rimasi poco. I miei orizzonti ormai erano altrove. 

Oltre mezzo secolo di legame con lo Svi, il Servizio volontario internazionale, una organizzazione non governativa con sede a Brescia, gli ha permesso di vivere da vicino l’evoluzione e il cambiamento nel mondo della cooperazione e del volontariato.

Vede, oggi la parola cooperazione è abusata. Non si distingue tra quella internazionale dei grandi organismi quali Unicef, Oms o Fao, poco amati dalle organizzazioni non governative perché il 70 per cento dei loro bilanci vengono impiegati proprio per mantenere in piedi le loro strutture. Poi c’è la cooperazione tra Stati, uni o bilaterale. Anche in questo caso, e lo stiamo vedendo con i migranti, essa non è finalizzata ad aiutare gli altri, ma a chiedere di essere aiutati, su compenso, a fermare i flussi migratori. Ci sono forme di cooperazione promosse dai sindacati e ci sono le ong, di ispirazione laica o cattolica. Lo Svi è una di queste e aderisce alla federazione degli organismi cattolici, la Focsiv, più realtà che si sono federate anche per avere più peso nell’agire e nel chiedere sostegni. Anche a Brescia Scaip e Svi si sono unite, formando NO ONE OUT.

Come sono cambiate le sensibilità e i modi di operare, tenuto conto che, oggi, migrazione ed emergenza ambientale in primis, ma anche l’esclusione sociale e la disuguaglianza diffuse supera la stessa dicotomia Nord-Sud, almeno nell’accezione con cui era stata intesa per alcuni decenni nel modello di Cooperazione Internazionale?

Sono cambiate le modalità operative e non poteva che essere così. Negli anni molte persone hanno intrapreso altre strade, ma lo spirito di accoglienza e di apertura verso gli altri è ancora molto presente nel nostro tessuto sociale. Lo si vede nei momenti di aggregazione che, ovviamente, oggi utilizzano linguaggi differenti, ma le persone ci sono. C’è il pensiero, ci sono le idee. Ci sono le azioni concrete anche qui, a fianco della Caritas o di altri organismi impegnati nel sociale. Ora in Africa non si parte più senza avere una competenza specifica e accordi con i governi dei vari Paesi. Una cooperazione che non è più solo ideale, ma che è diventata molto tecnica. A volte anche strumentale, perché certe esperienze servono da trampolino di lancio per incarichi di prestigio anche nel Nord del mondo.

Chi è Gabriele Smussi

Bresciano, classe 1949, laureato in Economia, dal 1973 al 1975 svolge il servizio civile in Rwanda con lo Svi. Al rientro dall’Africa, al lavoro ha affiancato l’impegno sui temi della cooperazione e solidarietà (in particolare con l’Africa), disarmo, ambiente ed educazione alla pace, in incontri e scrivendo per riviste quali Rocca, Nigrizia e Missione Oggi. Rappresenta da anni lo Svi in Opal, l’Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e Politiche di Sicurezza e Difesa.

Qui il link per leggere l’intervista sull’Eco di Bergamo

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